martedì 6 settembre 2011

Capitolo 3: Addii.

Scusate, non posto più da un sacco di tempo! o.O Vabbè, ecco il terzo capitolo! Scusate se fa schifo, e so che fa schifo, ma non voglio cambiarlo, perchè poi mi toccherebbe rittocare un saco di cose negli altri capitoli...

Entrai e subito i miei genitori mi vennero incontro. Mia madre mi si avvento contro al primo momento. Fece segno di abbracciarmi, ma si fermò. Non mi aveva mai abbracciata, figurarsi farlo adesso. -Dove sei stata Alex. Eravamo così preoccupati. Non rispondevi al cellulare, noi…-rimase un attimo in silenzio. -Eravamo preoccupai.- Concluse mio padre. “Si certo, come no” -Beh, ora sono tornata a casa, ero a fare una passeggiata. Vorrei mangiare.- Risposi duramente. -Va bene, non abbiamo mangiato neanche noi. In realtà ci farà bene un pranzetto insieme.- -Bene.- Mi ersi in tutta la mia altezza e gli voltai le spalle. In quel momento gli odiavo. Gli odiavo perché si preoccupavano, cosa che non avevano mai fatto. Gli odiavo perché, per l’ennesima volta, si erano dimenticati il mio compleanno. Gli odiavo perché non erano mai stati dei veri genitori. Gli odiavo perché venivano a farmi visita al massimo una volta ogni tre mesi. Gli odiavo, perché non si erano accorti del mio cambiamento. Andai in bagno e mi feci una doccia. Di solito, per quanto poco ne sapessi, le donne che venivano stuprate provavano vergogna per loro stesse. Ma io non volevo, io volevo combattere quel male, io volevo viverlo, volevo continuare a vivere la mia vita, e non sarebbero stati dei luridi bastardi ad impedirmelo. Non bastava quello per farmi cedere. Ormai ne ero convinta. Avevo ufficialmente diciotto anni, e potevo andarmene. E potevo iniziare una nuova vita. Una nuova vita, in cui mi sarei vendicata. Mi vestii in fretta poi scesi un cucina. Pranzo a base di Hamburger e patatine. Il pasto dei ricchi. Mi sedetti a tavola, i miei mi guardarono mangiare. Con la coda dell’occhio vidi mia madre muovere le labbra, cercando di dire qualcosa al marito. Infatti poco dopo, mio padre si mise a parlare, o meglio a cercare di comunicare, con sua figlia. -Allora, come stai?- Parlava a bassa voce, come se non volesse veramente farsi sentire. Come cazzo credi che mi senti? -Sto bene.- Risposi gelidamente. -Noi…pensavamo di restare per qualche tempo.- Smisi di mangiare di colpo, alzai lo sguardo. Loro, i genitori sempre occupati nel lavoro, volevano rimanere un po’ di più con la loro figlioletta? -Perché.- La mia non era neanche una domanda. Era un accusa. Mia madre si fece coraggio e parlò. Anche lei a bassa voce. -Ecco, pensavamo che tu avessi bisogno di conforto.- Rimasi di sasso. Avevano saputo. Ero stata un idiota, come poteva la madre di Lisa non avvertire alla madre della migliore amica della propria figlia deceduta, che Elisa, la ragazza più solare e bellissima del paese, fosse morta. Mi alzai di scatto in piedi, la sedia cadde in terra, sbattei i pugni sul tavolo. L’odio che avevo provato prima, non era nulla in confronto a quello che provavo adesso. Ribollivo dentro, come una pentola pressione che sta per scoppiare. -Alex, noi pensiamo che tu abbia bisogno di qualcuno con qui stare. E noi siamo i tuoi genitori.- In quel momento scoppiai. Sentii un grande BOOM dentro di me. Cominciai ad urlare. -Certo! Statemi vicina! E per quanto? Due giorni! E poi scappate via con quei cazzo di vostri cellulari con il vostro lavoro da schifo! Fottendovene di vostra figlia! Di quello che prova quando non ci siete, dei ricordi che gli assalgono la mente, tipo quando mio padre mi cantava una canzone, o quando mia madre mi leggeva una fiaba.- Mi fermai per riprendere fiato, e godermi le loro facce scioccate. Era crudele e ne ero consapevole, ma come ho detto prima, sarei diventata un'altra persona. Non sono più la vecchia Alex che subiva e non faceva nulla, no. Questa era la nuova Alex, che se riceveva uno schiaffo, prima o poi lo rende cento volte più forte. -Come potreste prendervi cura di me, se vi siete anche dimenticati il mio diciottesimo compleanno.- Sibilai. -N-noi…-provò a balbettare mia madre. -No, non voglio sentire scuse, ho subito la vostra merda per ben diciotto anni. Ora sono stanca. Non ne posso più di voi due. Di questa schifosissima vita. Ora basta, sono stanca. La vecchia Alex ora è morta definitivamente. L’Odio che provavo per voi se ne andato. Ora, non provo nulla.- Era vero, so che è una cosa crudele da dire ai propri genitori, ma loro non erano i miei genitori.-voi non siete niente.- Mi diressi verso la mia camera, lasciandoli li, mia madre con le lacrime agli occhi, e mio padre con la forchetta sospesa nell’aria con le lacrime che gli gocciolavano nel piatto. Feci i bagagli, presi uno zaino e lo riempii di roba. Non stavo nemmeno a guardare che cosa prendevo. Aprivo un cassetto e infilavo nello zaino. Quando non si poteva più infilare nemmeno una mezza calza lo chiusi e scesi le scale. Li trovai ancorali, immobili. Appena mi madre mi vide scoppiò in lacrime,e tra i singhiozzi riuscì solo a capire -Dove andrai?- Sorrisi scoraggiata. Dove andare? Alec era l’unica possibilità. Sussurrai perché non riuscii ad alzare la voce di nuovo con loro. -Lontano.-Mio padre si alzò e si avvicinò a me. -Alex…- Provo ad abbracciarmi, ma mi scostai. -No papà, non puoi rimediare, anzi, non potete rimediare, al danno che mi avete fatto, con un semplice abbraccio. Voglio stare lontano. Me ne andrà via. In un posto sconosciuto. Ci sentiremo qualche volta, ma, per ora, voglio stare per conto mio. Ho diciotto anni adesso, sono libera di fare quello che voglio.-Li fissai per un istante, aprii la porta. Po prima di chiudermi alle spalle la mia vecchia vita, gli lanciai un rapido e gelido sorriso. -Sappiate, che anche se mi avete causato tanto dolore, siete comunque i miei genitori. E inevitabilmente, vi voglio bene.- Mi chiusi la porta alle spalle, facendo in tempo a sentire il singhiozzo di mia madre. Sentii un rombo familiare, un rompo lussuoso. Alec era arrivato. Mi diressi verso la macchina nera, aprii lo sportello ed entrai. Lo fissai per qualche secondo, mi sorrise leggermente, dando un occhiata allo zaino che portavo a tracolla, e poi premette sull’acceleratore. La macchina partì con una sgommata. -Ne vuoi parlare?- Cambiai subito discorso. No, non ne volevo parlare. -Credo che tu mi debba sopportare più del dovuto.- -Non credo sia un problema. Ci sono sempre posti in più in quella baracca.- Mi lanciò uno sguardo e mi sorrise. Osservai quella cicatrice. Aveva un ché di ipnotico. Osservai anche i denti lucidi e bianchi. Mi sorpresi aveva una dentatura perfetta. Notai che era poco più grande di me, sui venti anni. Era vestito normalmente. Jeans neri, una camicia bianca con le maniche alzate, cosi da mostrare i muscoli delle braccia. Era vestito come la sera della festa. Mi venne un brivido ricordando. Voltai lo sguardo. -Perché non mi hai voluto dire della tua cicatrice?- Ricordai che non mi aveva risposto quando gli avevo posto la domanda. Lo vidi immobilizzarsi. -E’…uno storia complicata. E preferirei non parlarne.- capii che era un congedo. Arrivammo presto a casa, entrai, ormai conoscendo la strada, e mi diressi verso la cucina. Alec mi seguiva con lo sguardo. Aprii il frigorifero bianco, ci guardai dentro. Cibo, e cosa più bella, birra. Presi due bottiglie. -Che fai?- Il ragazzo mi guardò accigliato. Stappai le bottiglie, poi gliene porsi una. Gli sorrisi sadica. -Festeggiamo il mio compleanno.- Bevvi un grande sorso. Addio vecchia Alex. Benvenuta la nuova.

venerdì 26 agosto 2011

Capitolo 2: Ritorno a casa.

Allora, questo capitolo è un pochino insignificante, il bello, naturalmente deve ancora arrivare, la vera avventura inizia dopo il capitolo 6...quindi...bèh, per ora un po di cose noisette.
Questo capitolo è l'anteprima del disastro che sucederà nel prossimo.
Spero vi piaccia.

-Come fai a sapere il mio nome?- Sedevo su una sedia, in una cucina abbastanza lurida, ma dovevo accontentarmi. Dopo la scenata nella camera ero andata a sedermi su una sedia, e pian piano mi ero calmata. Il ragazzo è venuto poco dopo con il coltello fra le mani, lo ha poggiato sul tavolo, e si è seduto davanti a me. Dicendomi che si chiamava Alec. Poi, con u mezzo sorriso mi rispose.
-I tuoi documenti. Erano nella tasca della gonna.-
-Lo sapevi anche quando mi hai presa in braccio.-Rimasi un po’ zitta.-Quella notte.-
-Ti era caduto in terra, io ho raccolto tutto e ti ho portato via.- La sua voce era diventata talmente bassa da dover aguzzare l’udito. Mi ritrovai anche io a bisbigliare.
-Perché l’hai fatto?-
-Non lo so, è stata una cosa istintiva. Fin da quando ti ho vista alla festa ho capito che stava per succedere qualcosa.- Si alzò, e si mise a fare il caffè.
-Che cosa erano quelli?-
-Te l’ho già detto.-
-Voglio sentirmelo dire adesso, che sono cosciente di quello che è successo.-
-Vampiri.- Mi guardò per qualche secondo, ricambiai l’occhiata, poi si voltò, mise la caffettiera sul bollitore e venne a sedersi di nuovo davanti a me.
-Parlami di loro.- Volevo capire. Capire chi, che cosa, mi aveva fatto del male. E chi, aveva succhiato via il sangue alla mia amica. Fece un bel respiro.
-I vampiri sono unici. Non hanno simili. Sono solo vampiri. E ogni notte, puntano solo ad una cosa. Il sangue. Questa volta si sono spinti più in la. Di solito non lo fanno, ma a quanto pare tu sei… -lasciò la frase in sospeso, e fece bene, perché se solo si sarebbe azzardato, lo avrei preso a schiaffi seduta stante. Riprese subito dopo.-E di solito non lasciano testimoni. I Vampiri odiano essere visti.-Lo interruppi. Ora toccava a me fare le domande.
-Quanti sono?- fece uno strano suono con la bocca. Un misto tra una risata soffocata e un singulto.
-I vampiri? Moltissimi. Troppi, e riescono a confondersi con la gente normale tranquillamente.-
-Escono solo di notte, o anche di giorno?-
-Qui non si parla di leggende come Dracula. Qui si parla di realtà. Il sole non li fa assolutamente nulla. Solo che non possono bere di giorno. Gli è concesso solo di notte.-
-Chi glielo impedisce?-
-Loro stessi. Sin dall’inizio della loro esistenza, hanno fatto una specie di patto con un capo clan, e si parla di millenni, e il patto consiste nel non mangiare di giorno. Inizialmente furono un po’ contrari, ma poi si abituarono all’idea. Cacciare di notte è più…-ci pensò su, poi disse con tono monotono- da mostro.-
-Hanno un capo?-
-Non tutti, alcuni entrano a far parte di alcuni Clan, e altri viaggiano in coppie, molti invece vagano da soli per il mondo.- La mia idea andò in fumo, però sorrisi lo stesso. Un sorriso gelido, da assassino.
-Hanno dei poteri?-
-Poteri?- Mi guardò sbalordito, le sopracciglia inarcate.
-Si poteri, vanno super veloci, forza…qualcosa da super mostro.-Quasi scoppiai a ridere per la mia stessa battuta, ma mi trattenni. Lo fissai ansiosa.
-Bèh, sono molto forti, sono più rapidi degli umani. Non molto, ma se dovessero fare una gara di velocità contro il campione assoluto del mondo vincerebbero loro.-
-Per quanto tempo possono vivere?-
-Bèh, dipende… se non gli uccidi prima possono vivere sino a compiere anche mille anni. Ma di solito, o almeno i più stupidi, si uccidono perché sono stanchi. Il loro invecchiamento è simile a quello umano. Solo molto, molto più rallentato.-
-Hanno paura di qualcosa?-
-Si, di molte cose, una di queste è l’argento. Infatti è quello che ho usato io per mandarli via.-
-Quanto argento hai?-
-Parecchio.- Sorrise sadico, la cicatrice sulla guancia fu ancora più visibile.
-Come te la sei fatta?- Dissi indicando con l’indice la cicatrice. Sobbalzò, voltò lo sguardo e non rispose. Attesi. Lo vidi alzarsi e prendere la caffettiera, versare quanto più caffè nella tazzina e porgermela. La presi noncurante del fatto che fosse bollente e lo sorseggiai. Poi una lampadina mi si accese nella mente, il caffè mi andò di traverso. Tossi forte. E quando ebbi abbastanza fiato, lanciai uno sguardo ad Alec, che mi fissava un po’ sbalordito e un po’ divertito.
-Che giorno è oggi?-
-L’8 agosto 2011. Perché?-
-E’ il mio compleanno.- Lo sussurrai, non mi resi neanche conto che, se quel giorno era il mio compleanno, ero rimasta incosciente per tre giorni. Guardai l’orologio e mi alzai di scatto.-Sono  le tre e mezza del pomeriggio!-
Si riscosse, e mi fissò ancora più sbalordito.
-E quindi?-
-Devo tornare a casa! I miei saranno preoccupati!- Non ci credevo nemmeno io, ma comunque corsi verso la porta, poi mi fermai.
 Mi voltai verso Alec e lo fissai sbalordita di me stessa.
-Ho bisogno di vestiti.- Annui, poi si diresse verso una stanza. Poco dopo ne usci con dei vestiti. Erano solo un paio di jeans neri attillati, un paio di scarpe, e una giacca di pelle nera.
-Non ho biancheria da donna in casa.- Per un secondo parve di vedere un leggero rossore sulle sue guance, ma dietro il suo pallore non si sarebbe comunque notato.
-Fa nulla.- Presi di corsa i vestiti, e me li misi. Andai verso la porta, e di nuovo mi fermai. Presi a brontolare.
-Merda. Ma guarda tu che mi tocca fare per quei due babbuini.- Mi girai per l’ennesima volta verso Alec.
-Ho bisogno di un passaggio. Hai la macchina?- annui, poi prese la tazzina, bevve tutto d’un sorso il caffè e si diresse verso la porta. Mi condusse verso un garage. Apri la serranda e scoprii che aveva un bolide al posto della macchina. Una Porche Carrera, nera metallica si estendeva in tutta la sua bellezza. Rimasi a bocca aperta. Fece il gesto di prendermi per mano, ma si fermò e mi apri solo lo sportello. Quel ragazzo riusciva a capirmi al volo. Parti in quarta e subito ci trovammo fra le strade del paese. Per tutto il tragitto stemmo in silenzio. Parcheggiò poco lontano da casa, feci per uscire, ma mi rivoltai verso di lui.
-Come muoiono?- Alla mia domanda sorrise sadico. Poi rispose:
-Le teste mozzate vanno più che bene. Di solito le spade in argento sono un ottima arma contro di loro.-
Accennai un sorriso, di nuovo assassino.
-Procurati due spade di argento. Tra un oretta fatti trovare di nuovo in questo punto. Salvo imprevisti dovrei riuscire a venire. Se non ti dispiace.-
-Non è un problema, mi sento così solo in quella casa. - Per un momento un briciolo di ironia mi pervase.
-E come può essere, con una bellezza simile nel garage?- per la prima volta  lo sentii ridere.  Gli concedetti un sorriso strappato, poi sbattei la portiera e mi diressi verso casa.

domenica 21 agosto 2011

Capitolo 1: Vendetta.

Ecco il primo capitolo, a chi mi ha dato dei consigli, vi dico solo che per ora ho scritto  6 capitoli, e comincerò ad adoperare i vostri aiuti da quel capitolo in poi, non vorrei rileggere e correggere tutto, perchè credo, tutto sommato, che sia un buon lavoro, e non vorrei rovinarlo xD
E, scusate per gli eventuali errori grammaticali, ma, dopo aver risposto male a mio padre u.u mi hanno, naturalmente, punito. Il pc lo posso usare solo per mezzora al giorno. Quindi non ho il tempo di rileggere, scusate :) Appena posso modificherò il post e leverò gli errori! :)



Lisa si baciava amorevolmente con il ragazzo moro. Me lo aspettavo, in fondo, lei era sempre stata una ragazza da una storia per notte, era la solita ragazza sfacciata che spezza i cuori ai ragazzi. Lei era bellissima, era naturale che gli uomini, e sottolineo, tutti gli uomini, le sbavino addosso.
Osservai il mio cavaliere di una notte. Ci tenevamo a debita distanza, le nostre mani si sfioravano.
Non poteva crederci, io una ragazza, secchione da morire, che si mette a leggere l’Iliade perché non ha nulla da fare, stava con uno schianto biondo. La mia voce interiore mi disse di darmi da fare. E, come se mi avesse letto nel pensiero, mi porse la mano e io la accettai volentieri. Cercavo di pensare ad altro che ai gemiti di quei due amorini. Di botto il biondo chiamato Andrè mi avvicinò a se, e mi baciò con fervore. Rimasi paralizzata dal terrore, mentre le sue labbra pallide e carnose si muovevano sulle mie. Si fermò per prendere fiato, e mentre io ero ancora paralizzata dal terrore, mi passò le labbra sul collo. Mi si gelò il sangue, adesso il mio istinto non mi diceva di divertirmi, ma di scappare. Cercai di allontanarmi dal ragazzo, ma non lo feci, qualcosa in lui mi tratteneva come una calamita. Con la coda degli occhi vidi Elisa dimenarsi con foga fra le braccia del moro. Poco dopo la mia amica cominciò ad urlare. Andrè mi strinse fra le braccia, aveva una presa ferrea, mi sussurrò qualche parola nelle orecchie, e rimasi ferma, al mio posto, mentre cominciavo a capire quale era il motivo di quella gita notturna.
-Ora ci divertiamo piccola. Tu sei bellissima, il tuo sangue in confronto a quello della tua amica è dolce, è buono, e sensuale. Mi leccò il collo, poi me lo baciò leggermente.- Mi dimenai con forza, ma non ci riuscii. Le sua braccia erano diventate tutto d’un colpo forti come quelle di un orso.  Provai ad urlare, ma subito la sua mano mi coprì la bocca, attutendo il suono.
Cercai Lisa. La vidi mentre il moro la gettava a terra, poi gli saliva sopra e gli metteva una mano sulla bocca.
Lisa! La mia mente vagava tra questo mondo e un altro. Sentivo di stare per svenire, ma sapevo  che se lo avessi fatto, sarei morta. Non potevo non vedere quello che gli accadeva. Il moro avvicinò le labbra al collo della mia amica, poi la morse. La mia amica inarcò il collo, gli occhi spalancati dal terrore, le urla attutite dalla mano del mostro. Voltò lo sguardo verso di me, che non mi dimenavo più, in preda dal terrore, i suoi occhi celesti imploravano pietà, chiedevano aiuto, chiedevano qualcosa, che nessuno in questo mondo potrebbe comprendere.  Rimasi con lei finché non vidi i suoi occhi spegnersi, e pian piano farsi vitrei.
Le lacrime mi calarono leggere come le piume sulle guance, mentre ancora vedevo il corpo, ormai inerme, della mia migliore amica stesa atterra. Due buchi nel collo. Il moro si alzò. I suoi occhi non erano più neri come prima. Erano rossi come il sangue appena bevuto, il suo volto non era più bello, era terrificante. Sapevo che cosa erano, ma non volevo ammetterlo. Si avvicinò a me, mi passo un dito sulla guancia, poi mi baciò, non fu un bacio romantico. Mi morse la labbra con i denti, facendomi male. Volevo morire, ma non potevo. Ero ancora tra le braccia del biondo, quando l’altro disse ad alta voce.
-Con lei voglio divertirmi, poi come da patto bere toccherà a te. Ma non ucciderla.-
-La trasformiamo?- sentivo le loro voci in sottofondo, con la mente cantavo una ninna nanna che mio padre mi canticchiava quando ero piccola. Quando ancora gli importava qualcosa di me.

E la bella bambina, dolce e carina
Si addormenta leggera, fra le braccia del  papà,
che per sempre con se la terrà.

-No, voglio che ricordi questo momento. Tanto sai che se ne parlerà nessuno le crederà.-
-Ma io voglio trasformarla.-
-No Andrè.- Di colpo la voce del moro divenne fredda e morta. Una voce da capo. Andrè sbuffò, poi mi lanciò fra le braccia dell’altro. Che mi sorrise.

La mia bambina, la mia dolce bambina,
che in cielo brilla come una stellina.
Nessuno potrà farle del male
Perché il Re del bene continuerà a regnare.

Continuai a cantare mentre quel mostro mi faceva male. Sentii strapparmi i vestiti, piangevo e cantavo.
Ero incosciente, sentivo tutto, provavo dolore, ma non vedevo. Pensai di avere gli occhi chiusi e sicuramente era così, perché non mi accorsi del moro che finiva e del biondo che iniziava. Sentii solo il dolore svanire dal basso, e venire nell’alto. Al collo. Provai a dibattermi e ad urlare, ma il mio corpo non mi rispondeva.  Sentii la forza pian piano diminuire, mentre quel mostro, cominciava a succhiarmi l’energia vitale dal corpo. Ma poco dopo che l’incubo era cominciato, sentii il ragazzo staccarsi da me, aprii piano gli occhi e lo vidi guardarsi intorno. Sobbalzò, poi con il suo compagno, fuggirono verso l’uscita del vicolo.
Richiusi gli occhi, e, prima di perdere conoscenza, senti una voce leggera e bellissima nell’orecchio.
-Ora ti porto a casa. Dormi Alex, dormi e dimentica.-
Caddi nel sonno, mentre le immagini di morte, stupro e sangue vagavano nella mia mente.

La mia mente vagava da un mondo all’altro. Tra il mio e uno sconosciuto, dove immagini vivide e il dolore provato venivano a trovarmi. Mi svegliavo, e poi dopo poco mi riaddormentavo. L’idea di essere tra le mani di un maniaco non mi sfiorava nemmeno, aveva altro a cui pensare in quel momento. Ongi volta che mi svegliavo non riuscivo a muovere un muscolo. Un giorno, un ora, un minuto qualsiasi del tempo trascorso, mugolai. Bene almeno quello riuscivo a farlo. Sentii qualcuno avvicinarsi a me. La voce di un uomo si fece vicina.
-Dormi, non sei ancora pronta. Appena lo sarai ti sveglierai, e rimarrai cosciente. Ora dormi bambina.-
Chiusi gli occhi.

Non sapevo quanto tempo fosse passato, ma mi svegliai, e rimasi a fissare il soffitto per tanto tempo. E pensavo, pensavo a Lisa, al suo volte bellissimo, ai suoi occhi che mi imploravano, al dolore che mi provocava quel mostro, e poi alla voce del mio salvatore. Poco dopo sentii una porta aprirsi, poi sbattere.
Rimasi zitta, non volevo far rumore, non volevo attirare l’attenzione su di me. Ma lo sconosciuto salvatore si avvicinò a me, e mi guardò negli occhi. Non lo riconobbi subito. Solo dopo capii che era il ragazzo che avevo visto alla festa. Colui che aveva fatto paura. Osservai bene il suo volto, gli occhi completamenti neri e profondi, come la fine di un pozzo che non riesci a vedere, e una cicatrice che gli percorreva la guancia destra dall’orecchio al mento. Mi sorrise grave. Io non risposi, non sentivo il bisogno di comunicare con nessuno. Girai la faccia. Lui si sedette sul bordo del letto. Immaginai fosse tale perché sentivo il morbido del materasso. Poi cominciò a parlare.
-Non chiedermi perché ti ho salvato, perché non lo so nemmeno io. Forse è stata la pena che ho provato, o forse la rabbia nei confronti di quei bastardi.  La tua amica è morta. La polizia ti sta cercando, non sanno chi cercare, ma hanno…trovato il tuo sangue per terra. Sai chi erano, no anzi, cosa erano quei mostri. Vampiri. Adesso non voglio chiederti di credermi, ti sto solo dicendo quello che hai bisogno di sapere. So cosa provi, o almeno in parte. So che non vuoi parlare, e non te lo chiedo. Ti dico solo che per le prossime ore io sarò nella stanza accanto, e se avrai bisogno di qualcosa, io sarò pronto a venire ok?- Attese una risposta, ma non venne, quindi se ne andò. Non mi vide piangere come una disperata. Non mi vide mentre ricordavo quello che era successo, momento per momento. Provavo ribrezzo, provavo dolore, provavo odio. Dopo tempo, troppo tempo, decisi di alzarmi. Non so il perché lo feci, ma sentivo il bisogno di muovermi, e sentire di nuovo che il mio corpo mi apparteneva. Mi guardai intorno. Era in una stanza abbastanza grande, circondata da muri bianchi e sporchi. In una parete al lato, un armadio. Al centro della stanza un letto matrimoniale. Un comodino e sopra di esso i miei vestiti. Mi guardai, indossavo una camicia lunga, che mi faceva da gonna. Sotto di essa completamente nuda. Immaginai che il mio salvatore mi avesse spogliato e lavato. Non provai vergogna, non riuscivo a provarne, non dopo quello che era successo. Mi avvicinai al comodino. Presi la maglietta bianca ancora sporca di sangue. Poi con un urlo straziante la strappai. Volevo distruggere tutto. Presi la gonna e la lanciai contro il muro.
Caddi in ginocchio, e mentre gli spettri del passato mi tormentavano, mi presi la testa fra le mani e cominciai ad urlare. Non smisi neanche quando il ragazzo entrò nella stanza con un coltello in mano. Mi si avvicinò, poggiò il coltello per terra, e si inginocchiò accanto a me. Pareva che le mie urla da ossessa non gli dessero fastidio, e anche se lo fossero state, non avrei smesso. Mi prese fra le sue braccia, e piansi come una bambina. Piangevo ed urlavo, poi mi calmai, smisi di urlare, mentre ancora mi stringeva fra le braccia.
Quando mi resi conto del suo contatto, delle sue mani attorno alle spalle, mi scostai con forza e lui mi lasciò andare. Lo fissai per qualche secondo. Osservai la cicatrice, era spaventosa, ma adesso sapevo che nulla mi avrebbe più fatto paura. La sua voce mi arrivò in ritardo nelle orecchie, la trovai, ancora una volta, calda e accogliente.
-Cosa vuoi fare Alex?- Mi chiesi in un primo momento come faceva a sapere il mio nome, poi cercai di rispondere alla domanda. Cosa volevo?
-Non lo so.- Mi spaventai, quella non era la mia voce, quella di adesso era strozzata e bassa, quella di prima invece era cristallina e alta.
-Si che lo sai. Lo sia, ma non vuoi ammetterlo.- Il suo tono di voce si alzò, quasi ad urlare.
-Non lo so.- Continuavo a sussurrare quelle parole, aveva ragione, sapevo cosa volevo, ma non volevo dirlo, perché non mi era tanto chiaro.
-Si che lo sai cazzo! Lo sai, e devi dirlo, altrimenti non ti posso aiutare maledizione!.- Prese ad urlare. Lo guardai negli occhi. Era furioso.
-Dimmelo! Che cosa vuoi più di ogni cosa al mondo?- Urlava, e sapevo che non avrebbe smesso.
-Non lo so!.- Presi anche io ad urlare, le nostre voci si mescolavano per la stanza e rimbombavano, facendo male alle orecchie. Io voglio…
-Si che lo sai maledizione! Che cosa vuoi Alex! Dillo, urlalo!- Le lacrime presero a cadere, ma mi fermai, non era ora di piangere, in quel momento promisi a me stessa che non lo avrei più fatto. No, era segno di debolezza, e non lo avrei mai più fatto, in tutta la mia vita.
-Dimmelo!- La sua voce mi arrivò dritta e coincisa. Non ne potevo più, vidi il coltello per terra.
Che cosa voglio veramente? La risposta mi arrivò subito, ne fui certa. Presi il coltello fra le mani lo alzai al cielo, Io voglio solo una cosa. Spalancai gli occhi come una pazza, lanciai un piccolo urlo. Poi calai il braccio.
-VENDETTA!- Sbattei il coltello nel pavimento di legno. Si conficcò a fondo. Mi alzai di scatto, senza pensare ad un motivo, poi mi incamminai decisa verso l’altra stanza. Il ragazzo misterioso sorrise compiaciuto, poi  prese il manico del coltello e tirò. Non venne fuori, se non dopo aver fatto leva per cinque minuti, con entrambe le mani.

u.u Anche questo capitolo è concluso! Bien! Spero vi sia piaciuto! :)

mercoledì 17 agosto 2011

Prologo.

Ciao! Sono di nuovo io! u.u Allora, inizialmente, vi dico che sono eccitatissima all'idea di postare per la prima volta, su un blog tutto mio, una delle mie storie, i capitoli sono abbastanza lunghi, alcuni anche di quattro pagine. Quindi li dividerò, per non annoiarvi troppo :)
Avete letto la trama...e bèh...ora vi posto il prologo... :) Vi avviso da subito, che ci saranno caratteri violenti e un pò di Horror e torure in programma xD Ma non preoccupatevi, non sono il tipo da sterminii e cose varie...
Sinceramente non so se va bene la lunghezza, di solito scrivo di meno, ma questi capitoli sono lunghi, molto lunghi...Quindi, ditemi se vanno bene o sono lunghi, perchè posso tranquillamente dividerli in varie parti...
Ok, bene, allora vi lascio. Spero che vi piaccia.
Un bacione, vostra Elva. ^-^



Prologo.

Ma quando figlia di luce brillò l’Aurora dita rosate,
il popolo si raccolse intorno al rogo d’Ettore luminoso;
e come convennero furono riuniti,
prima spensero il rogo con vino scintillante,
tutto, là dove aveva regnato la furia del fuoco: poi
raccolsero l’ossa bianche i fratelli e i compagni,
piangendo:  Grosse lacrime per le guance cadevano.
Raccolte, le misero dentro un urna d’oro,
avvolgendole in morbidi peli purpurei:
subito le deposero in una buca profonda,
molte e grandi pietre vi misero sopra,
e in fretta versarono il tumulo; v’erano guardie per tutto,
ché non li assalissero prima gli achei Buoni schinieri.
Versato il tumulo, tornarono indietro: essi, poi,
raccolti come conviene, banchettarono glorioso banchetto
in casa di Priamo, il re stirpe di Zeus.
Cosi onorarono la sepoltura d’Ettore domatore di cavalli.

Sospirai. Finalmente ci ero riuscita. Avevo finito il libro, anzi no, il mattone che da tanto temevo agonizzante. Lo chiusi di botto. E guardai per qualche secondo la copertina. L’Iliade di Omero mi sorrideva allampanata, come per dirmi: -Aò! Finalmente ci sei riuscita!- Sospirai di novo. Guardai l’orologio. Le 12.30 di notte. Era tardi. Sbuffai, la stanchezza si impossessò di me per qualche secondo. Poi mi misi a letto. Ripensando a cosa avrei fatto  svegliata.
Misi il cellulare a caricare e mi misi sotto le coperte. Presi sonno. Stavo per addormentarmi quando il cellulare prese a vibrare. Imprecai, mi alzai e andai a prenderlo. Guardai un attimo lo schermo.
-Elisa. Che vuole adesso?- In realtà sapevo che cosa mi voleva chiedere, ma non volevo nemmeno pensarci così lasciai squillare. Poco dopo smise. Tornai fra le coperte. Poi il campanello squillò, ma non una volta. Ne contai cinque.
-Ma chi cazzo è a quest’ora!?- Mi diressi verso la porta. Fortunatamente entrambi i miei genitori erano fuori casa per lavoro. E non sarebbero rientrati molto presto. Ma comunque scesi le scale lentamente e cercando di non fare rumore. Guardai fuori dalla finestra, ma non vedevo il volto dell’ospite sgradito. Così sbuffando andai ad aprire. Ero pronta a fare una scenata, ma mi sciolsi subito. Elisa, la mia migliore amica, era davanti a me, il viso pieno di indignazione che mi guardava dall’alto verso il basso. I capelli erano raccolti in una strutturata pettinatura abbastanza complessa, sicuramente fatta da sua madre che era parrucchiera. Una maglietta rossa scollatissima che metteva in mostra tutto. E un paio di jeans neri aderenti che facevano vedere bene le gambe magre e ben formate. Alzai un sopraciglio infuriata.
-Ma che cavolo vuoi a quest’ora? Ti rendi conto di che ora è?- Rise di gusto, mi diede una pacca giocosa sulla spalla. Un pacca molto giocosa, perché mi fece indietreggiare. Passò disinvolta ed entrò. Si diresse in cucina. La seguii a ruota. Continuavo a chiedermi perché cavolo fosse venuta a mezzanotte a suonare a casa.
Prese una birra, poi una forchetta, e come solo lei sapeva fare la stappò Un sonoro PLOP invase per un attimo la stanza. Beve un sorso, guardandomi dall’alto in basso. Avrei dovuta fermarla, non era una buona cosa che bevesse, poi una birra! Che aveva un minimo di tasso alcolico di 5 gradi.  Sapevo che mi stava squadrando. Rimanemmo in silenzio. Io guardavo il parquet in legno sotto le mie ciabattine.
Poi dopo un attesa infinita, dove avevo finito di sperare anche in un sussurro si mise a parlottare di qua e di là.
-Alex, ma tu lo sai che non si chiude mai il telefono in faccia alla tua migliore amica?-Rimase un attimo in silenzio. Arrossi e cercai di rispondere.
-Non te l’ho chiuso. Non ho risposto, è…-  Mi interruppe con un gesto della mano.
-Questa non te la perdonerò. Almeno che…- Si fermò lasciandomi immaginare che cosa volesse farmi fare.
Una partita a Poker, dove sicuramente avrei perso tutti i miei risparmi. Lei era un asso in queste cose. Oppure mi avrebbe fatto una foto tutta nuda con un orsacchiotto in braccio e poi l’avrebbe pubblicata su facebook.  Immaginai di tutto, le torture più agonizzanti. Ma poi mi fece smettere di riflettere con una risata. Mi prese la mano, poso la bottiglia di birra nel tavolo di marmo e mi condusse in camera da letto. Mi posizionò davanti all’armadio. Sapevo che conosceva a memoria il mio guardaroba. Infatti aprì lo sportello con lo specchio. Mi fece osservò. Inarcò le sopracciglia. Poi sempre in perfetto silenzio, prese degli abiti dal mio armadio.
La vidi tirare fuori una minigonna che mi aveva regalato lei stessa. Io la odiavo, era nera ed aderente, e metteva in mostra le mie cosce magre e spudorate. Poi prese una magliettina bianca, maniche inesistenti, aderente nel punto giusto. Mi resi conto, arrossendo, che entrambi quei capi me li aveva regalati e lei, e cera ancora l’etichetta attaccata.
-Ce ancora l’etichetta!- Mi guardò indignata. Poi sorrise radiosa. Il motivo per cui lei era la mia migliore amica era che, anche se mi costringeva a fare cose che non facevo mai nelle mie solite giornate noiose, era che riusciva sempre a tirarmi su il morale. Anche quando il mio primo ragazzo, dopo un anno di pomiciate e altre porcate mi aveva piantato in asso per una gnocca bionda, ero in preda alla disperazione e alla depressione, solo lei era riuscita a tirarmi su il morale. Era come una sorella per me. E le volevo bene.
-I-Io…- Mi interruppe un'altra volta.
-Fa nulla. Un altro motivo per venire con me.- Mi tirai indietro.
-Venire dove?-  Mi guardò per un secondo.  Poi alzò gli occhi al soffitto.
-Ad una festa tonta! Non l’avevi ancora capito? Mamma mia, tu sei la prima della classe, ma se si tratta di festini, sei proprio ritardata.- Rise della sua stessa battuta. Io indietreggiai, cercai di dirigermi verso la porta, fuggire e non andare da qualche parte con lei. Ma io, sono la persona più ritardata del mondo no?, e anche l più prevedibile a quanto pare. Prima che potessi anche pensarci, mi strinse il polso. Poi mi sbatte forte i vestiti nel petto facendomi male.
-Vestiti, e non voglio sentire storie. Me lo devi.- Sospirai, non avevo scampo. Mi misi quegli orribili vestiti in fretta e mi guardai allo specchio. I capelli corvini erano legati in una coda di cavallo, dandomi un aria da bambina.  Elisa prese fra le mani l’elastico, e inconsapevole del male che mi fece mi sciolse i capelli. Prese una spazzola dal comodino e  prese a pettinarmi con foga. Non si accontentò finché non furono almeno un pochino lisci. Mi guardò, poi sobbalzò guardandomi i piedi. Abbassai anche io lo sguardo, sarei scoppiata a ridere se solo non fosse quel momento. Brontolavo tra me mentre la mia ex migliore amica cercava un paio di scarpe.
-Di certo non potrai andare ad una festa con sto schifo di ciabattine.- mi fece vedere un paio di tacchi a spillo di mia madre.
-Ma scherzi? Saranno un trenta centimetri di tacco.- Inorridivo solo all’idea di andare ad una festa, figuriamoci mettere i tacchi a spillo. Mi diressi verso la scarpiera, Elisa mi prese per mano, ma mi liberai con una strattone.
-E che cavolo Lisa. Ok vengo, ma fammi mettere almeno un paio di scarpe decenti no?-
Lasciò la presa, e mi osservò attentamente come un poliziotto che guarda un detenuto mentre va a prendere posto nella sedia dell’interrogatorio, solo che io stavo andando a prendere un paio di scarpe da tennis.
Presi delle semplici Vans a scacchi bianchi e neri e le indossai. Tornai allo specchio, e per quanto potesse sembrare strano, ero abbastanza carina.
-Mmmh, molto sexy direi. Quella minigonna ti sta a meraviglia. E quella maglietta…Ragazza, tu oggi farai colpo.-
-Perché mi fai questo maledizione?-
-Alex, da quando quello stronzo ti ha lasciato, non fai che rintanarti nei libri e nello studio. I tuoi genitori non ci sono, sai anche tu che non torneranno presto. E’ la buona occasione per andare ad una festa.-
-Sono minorenne.-
-Ancora per poco. Tra un paio di giorni compirai diciotto anni. Quindi non rompere, e fila in macchina.-
Sbuffai stizzita, mi diressi a passo pesante verso l’uscita di casa. Entrai in macchina senza neanche chiudere la porta di casa. Tanto, se poi avessero rubato qualcosa, i miei con tutti i soldi che avevano, avrebbero potuto ricomprarla senza problemi. Salii in macchina, e trovai l’abitacolo abbastanza accogliente.
Per tutti i dieci minuti di viaggio stemmo entrambe in silenzio.
-Ora Alex, non voglio vederti dentro con il tuo solito muso da secchiona, quindi, ora sorridi tutta felice ed entra dentro a rimorchiare ok?
-Ok.-
-Di poche parole stasera?- La guardai storto. Mi fissò per qualche secondo poi rimise gli occhi nella strada.
-Secondo te?-
-Oh andiamo, io lo faccio solo per te. Perché ti voglio bene, anche per quanto io possa sembrare il contrario.- Sospirai. Come facevi a non scioglierti con una così?
-Va bene, rimorchierò ragazzi a raffica ok?- In tutta risposta mi sorrise euforica.
Poco dopo mi resi conto di trovarmi in una stradina desolata, che ci portava dritti ad una villetta con un sacco di luci e la musica ad alto volume.
-Ma almeno ti hanno invitato?- Mi preoccupai solo in quel momento degli inviti.
-No, ma ho rubato gli inviti a due tizi che ho incontrato.- Sorrise, poi spense la macchina e ci dirigemmo entrambe verso la casa.
Entrammo senza problemi, e subito la mia amica si diede da fare. Io invece, al posto di andare a ballare, andai al bancone, e ordinai un bicchiere di acqua naturale. Mi voltai, e mi misi a guardare gli altri che ballavano. Girai con lo sguardo per tutta la sala, poi incrociai lo sguardo di un ragazzo.
Lo trovai subito molto bello. I capelli neri e lunghi legati in un codino che gli davano un aria estremamente selvaggia, era vestito tutto di nero, tranne la camicia che era un sbottonata e metteva in mostra i muscoli delle braccia. La cosa che però mi fece cambiare idea  furono i suoi occhi. Appena i nostri sguardi si incrociarono un lampo mi colpi la mente e mi fece voltare. Per un attimo avevo avuto paura di quel ragazzo, come se il mio istinto mi dicesse di stargli lontano. Infatti non lo guardai più per tutta la serata. Mi annoiavo a mote, quando la mia migliore amica mi si avvicinò, aveva affianco due ragazzi più grandi di noi.
Uno moro che gli sussurrava all’orecchio qualcosa, mentre lei rideva. Era ubriaca, e invece l’altro biondo, che non mi toglieva lo sguardo di dosso. Mi accorsi subito che erano assurdamente pallidi.
-Alex, questi sono Auguste-Disse indicando con l’indice quello moro- e Andrè-indicando il biondo che mi sorrise timoroso. Ricambiai fiduciosa. Mi chiesi se finalmente avessi trovato quello giusto. Lisa continuò, con voce tremante e un po’ sballata:
-Questi bei fusti ci volevano invitare a fare un giro nella loro macchina.- Mi sorrise mezza ubriaca.
-Io…credo di no Lisa. Forse è ora di andare a casa. Guardai l’orologio da polso.-Sono le due del mattino.-
-Oh andiamo Alex non rompere. Forza andiamo.-Mi prese per il polso e mi fece andare a sbattere contro il ragazzo chiamato Andrè. Arrossi di botto. Poi, per la terza volta in tutta la serata, mi lasciai andare.
-Va bene andiamo. Ma poi dovrete riaccompagnarci alla macchina.- Il moro rise di gusto. Una risata lunga e profonda.
-Quello non sarà un problema bellezza.-
Ci dirigemmo verso l’uscita. E per puro caso, o forse per il destino, rividi il ragazzo misterioso.
Al posto dello sguardo furioso e malevolo di prima, aveva uno sguardo triste e preoccupato. Mi fissò finchè non uscimmo. E ci incamminammo verso la porta. Andrè mi mise una braccio sulla spalla, poi avvicinò il viso al mio orecchio e sussurrò.
-Sai Alex, non ho mai visto nessuna ragazza più bella di te. Credo che questa notte ci divertiremo.- Non risposi. In quel momento non sapevo che cosa sarebbe successo, non sapevo che il ragazzo di cui avevo avuto paura, sarebbe stata la mia salvezza. Non sapevo, in quell’assurdo momento della mia vita, a che cosa andavo incontro.